
Estratto della conferenza “Showlight”. Fontainebleau, Francia. 2021
Tempo di lettura: 4 min.
Cos’è che rende magica la luce a teatro?
In architettura la luce è spesso funzionale, vengono richieste normative, valori da rispettare, ma mi sono sempre chiesto -forse anche per le mie origini nell’illuminazione teatrale- : “È proprio questa l’unica luce per illuminare un’architettura, un oggetto o un edificio?” Per rispondere a questa domanda bisogna pensare a come il teatro utilizza la luce per creare una drammaturgia scenica e come questa luce può influire ed essere utilizzata.
A teatro la luce viene trattata come se fosse una materia plastica, solida, un elemento scenografico da poter modellare e dirigere in ogni punto della sala, cambiare nel corso del tempo. Luce e tempo sono due attori inseparabili per poter comprendere l’illuminazione di uno spettacolo. Questi due fattori entrano in gioco in un’architettura dinamica, fluida, soggetta al cambiamento.
La bellezza del teatro e dell’illuminazione è la bellezza dell’effimero.
Gli esperimenti all’interno dello spazio buio del teatro, di Wagner e Adolphe Appia, mostrarono come l’introduzione inattesa della luce creasse mondi e realtà imprevisti.
Ciò che rende magica la luce a teatro è il modo in cui produce effetti sorprendenti, illuminando, in un momento preciso e irripetibile, una storia in costante cambiamento. Allo stesso modo la luce in architettura, per essere magica, deve trasmettere emozioni e adattarsi al trascorrere del tempo.
La luce rende l’architettura, di per sé immobile, in continuo mutamento.
Il mutamento è l’ingrediente essenziale affinché si crei un ambiente in cui il fruitore non si senta apatico ma vivo, curioso in un ambiente anch’esso vivo. È proprio questa luce mobile a creare un rapporto dinamico fra figura e sfondo: la luce-sfondo diventa figura e viceversa.
Perché la luce non sia scontata bisogna comprenderla e per “con-prenderla” bisogna contenerla in una forma, perché essa, non avendo contorno, invaderebbe tutto lo spazio. Questo contenitore non è altro che l’ombra, il limite fra ciò che è in luce ciò che non lo è.

Giovanni Paolo Panini, Interno del Pantheon. 1747
Lo spazio buio è il contenitore attraverso cui la luce si fa materia.
La luce entra in tal modo nei quadri di Caravaggio, nella roccia di Chillida, diviene forma all’interno del Pantheon, nei patii delle case da Grafton a Barragan a Turrel.
Per progettare un’illuminazione bisogna innanzitutto creare un paesaggio di luce in cui immergersi e abbandonarsi, lasciandosi alle spalle le regole standardizzate dell’illuminazione perché queste entreranno in gioco in un secondo momento.
Un progetto d’illuminazione nasce dalle interazioni di un corpo pensante e senziente con lo spazio in cui si trova, dalla percezione dei suoi limiti, della sua forma e materialità, dalle immagini ed emozioni che questo spazio suscita in una persona. La luce segna i confini dello spazio in cui il corpo agisce.
S’illumina uno spazio per trasformarlo in un paesaggio luminoso che trova il suo fondamento articolandosi dialetticamente con gli spazi d’ombra.
Pensiamo sempre come portare la luce all’interno dell’architettura, come controllare la luce, ma mai si pensa come controllare il buio, come gestire le ombre. Le ombre, gli spazi bui sono un elemento strutturale di un’opera costruita e senza di essi non vi sarebbe neppure la luce o perlomeno non vi sarebbe una luce adatta a decifrare e a vivere un’architettura.
L’ombra dev’essere analizzata e usata secondo le sue principali valenze: quella funzionale, legata alla definizione dei volumi e delle gerarchie spaziali e quella simbolica e narrativa.
Come diceva Louis Kahn: “a plan of a building should be read like a harmony of spaces in light. Even a space intended to be dark should have just enough light from some mysterious opening to tell us how dark it really is. Each space must be defined by its structure and the character of its natural light.”
Se la luce illumina, l’ombra suggerisce ed entrambe si articolano dialetticamente.

Mostra “Romanticismo” a Milano. Foto di Marco Miglioli

Mostra “Romanticismo” a Milano. Foto di Marco Miglioli
Per concludere questo breve riassunto della conferenza, posso dire che per affrontare un progetto di architettura sarebbe opportuno studiare la tecnica e la filosofia dell’illuminazione teatrale per attingere ad un vocabolario visivo ed espressivo molto più vasto.
Solo così il progetto di illuminazione verrà affrontato non più come una sequenza di punti luce da accendere o spegnere, ma come un organismo dinamico che segue l’evolversi di un’architettura sempre più fluida.
Estratti del video della conferenza.
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